La vita umana è come un pendolo
Ero agitato, con la cornetta in mano. «Devo parlargli», dissi al mio interlocutore. «Certo, meglio farlo in fretta» mi rispose, e riattaccò. Avevo molti pensieri in testa, avevo bisogno di farli uscire. Volevo una risposta. Seduto su una comoda sedia in legno, rivestita di velluto rosso, osservavo il nuovo ambiente dove mi ero d’un tratto ritrovato. Il tetro corridoio era zeppo di immagini sacre: madonne e santi erano sovrastati da un grande crocifisso dall’aria antica, i mobili perfettamente mantenuti erano di sicuro stati prodotti da maestri artigiani. Il fitto buio era combattuto solo da una fioca luce elettrica che proveniva dal lampione fuori dall’ampio finestrone, il freddo non faceva che aumentare l’agitazione di quegli istanti, tanto quanto la certezza di essere di fianco al suo studio personale. L’enorme e pesante portone in fondo al corridoio si aprì. Non senza fatica un omino dall’aria stanca, per l’orario e per l’età, prima spinse e poi tirò quel letto ad una piazza, fasciato da fini lenzuola bianche. Avevo subito riconosciuto il passeggero, un anziano signore che sul viso aveva dipinta la necessità di quell’incontro, a discapito delle ore di sonno inesorabilmente perse. Indossava una camicia da notte bianca, con dei pizzi anacronistici, e un bizzarro cappello da notte turchese. Il letto fu messo di traverso di fronte a me, il vecchio personaggio mi guardò e mi prese la mano. Era il momento. La voce di Ratzinger, Papa Benedetto XVI, pose una domanda risoluta con un tono di bontà misto a preoccupazione. «Dimmi, figliolo». Presi coraggio e con timore reverenziale formulai la mia domanda: «Perché la Chiesa non adatta i suoi insegnamenti al pensiero di Schopenhauer?» E poi mi sono svegliato.